CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    Il Consigliere designato dott.ssa Simonetta  Afeltra,  nel  proc.
52/2014 VG, promosso da Cassibba Giovanni, Brafa  Missicoro  Maria  e
Gennaro Anna (rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Giovambattista
Ferriolo,  Ferdinando  Emilio  Abbate  e  Michele  Dulvi   Corcione),
ricorrenti, contro  il  Ministero  della  giustizia,  resistente,  ha
pronunciato la seguente ordinanza. 
    Rilevato che: 
        A- i  ricorrenti,  con  ricorso  ex  art.  3  legge  89/2001,
depositato presso la Corte di  appello  di  Perugia  a  maggio  2010,
chiedevano che fosse  dichiarata  la  violazione  dell'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali sotto  il  profilo  del  mancato  rispetto  del
termine, ragionevole di cui al relativo par.  I,  in  relazione  alla
durata di una causa dagli stessi instaurata dinanzi al TAR Lazio  nel
marzo 1993 al fine di ottenere la declaratoria  del  proprio  diritto
soggettivo all'adeguamento triennale (ex lege 27/81)  dell'indennita'
giudiziaria, prevista dalla legge 221/1988 nonche' al  pagamento  dei
relativi arretrati frattanto maturati; 
        B- la Corte di Appello  di  Perugia,  con  decreto  1458/2012
depositato il  17  dicembre  2012  ,  in  parziale  accoglimento  del
ricorso,  condannava  l'Amministrazione  a  pagare  in   favore   dei
ricorrenti la somma di € 10.300,00 ciascnno, oltre  interessi  legali
dalla domanda; 
        C- avverso detto decreto gli  odierni  ricorrenti  non  hanno
proposto ricorso per cassazione; 
        D- con il presente procedimento deducono che il  giudizio  di
equa riparazione svoltosi presso la Corte di appello  di  Perugia  e'
complessivamente durato due anni e  sette  mesi  (da  maggio  2010  a
dicembre 2012), termine che ritengono  "irragionevole"  ,  posto  che
invece la durata "ragionevole" di un procedimento instaurato ai sensi
della c.d. legge Pinto non potrebbe eccedere il termine di "due anni"
per la durata complessiva nei due gradi presso la Corte di appello  e
in Cassazione; 
        E- pertanto deducono che, dovendosi  considerare  ragionevole
un lasso di tempo di circa  12  mesi  nel  caso  di  un  procedimento
articolatosi - come nella specie - in un solo grado di  giudizio,  ne
residua una protrazione "irragionevole" pari a 19 mesi; 
        F- chiedono, pertanto, in tesi, il pagamento della somma di €
1750,00 ciascuno (di cui € 1000,00 per il primo anno di irragionevole
durata e i 9/12 di € 1000,00 pari ad € 750,00 per gli ulteriori  nove
mesi) ovvero altro importo maggiore o minore ritenuto di giustizia  e
liquidato in via equitativa a titolo di equa riparazione; 
        G- chiedono tuttavia, in ipotesi, la  rimessione  degli  atti
alla Corte Costituzionale per  contrasto  dell'art.  2,  comma  2-ter
della legge 89/2001 con l'art. 117 Cost e con l'art. 6  par.  1  CEDU
nonche' con gli artt. 111, comma 2, 3, comma 1 e 10 Cost.,  rilevando
che l'art. 2, comma 2-ter, della citata legge n. 89  (introdotto  dal
decreto-legge 83/12, convertito in legge 134/12), considera  comunque
rispettato il termine ragionevole se il giudizio  viene  definito  in
modo irrevocabile in un tempo "non superiore a sei anni"; 
        H- i ricorrenti ritengono tale criterio in contrasto  con  la
giurisprudenza,  della  CEDU  (in  particolare  richiamano  CE.DI.SA.
Fortore s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica  c.  Italia  27.9.11)  e
della Corte di Cassazione (in particolare le sentenze nn.  4914/12  e
6824/12),  formatasi  anteriormente   all'entrata   in   vigore   del
decreto-legge 83/12, che ravvisava in  soli  "due  anni"  il  termine
ragionevole per i procedimenti ex  lege  n.  89.  Menzionano  inoltre
anche il Trattato di Lisbona,  ratificato  in  Italia  con  la  legge
130/2008, che implica che  i  diritti  fondamentali  garantiti  dalla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali fanno parte del diritto dell'Unione. 
        I- i ricorrenti sostengono, quindi, che tale  interpretazione
dovrebbe sopravvivere anche alla "novella" del 2012,  in  quanto  che
ogni diversa interpretazione contrasterebbe con gli artt. 117  e  111
Cost., e col principio  del  "giusto  processo"  ivi  stabilito,  per
contrasto con l'art. 6 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
        L- ricordano infine che questa stessa Corte, adita in analogo
giudizio (sia pure in  sede  di  opposizione)  in  cui  parimenti  si
lamentava la durata irragionevole di precedente procedimento ex legge
89/2001 e si deduceva del pari l'inapplicabilita' del termine di  sei
anni, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  in  data
14 ottobre 2013; 
        M-  ritengono,  infine,  che  la  prospettata  questione   di
costituzionalita' possa essere sollevata  anche  in  sede  monitoria,
richiamando all'uopo Corte Cost 30 aprile 2008, n. 128. 
    Ritenuto che: 
        1- il  comma  2-ter  dell'art.  2  della  legge  n.  89/2001,
stabilisce  che  "si  considera  comunque   rispettato   il   termine
ragionevole, se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un
tempo non superiore a sei anni"; 
        2- l'osservanza  di  tale  termine  sessennale  rende  quindi
irrilevante il superamento dei tempi di ciascuna singola fase (di cui
all'art. 2, comma 2-bis) e si applica ad ogni procedimento civile; 
        3- risulta  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale della normativa applicabile  al  caso  di
specie:   l'individuazione   del   principio   costituzionale   della
"ragionevole durata" di cui all'art. 111, secondo  comma  Cost.  deve
essere correlata alla "natura"  del  procedimento  e  la  sua  durata
"ragionevole" deve essere vagliata in ragione della  sua  maggiore  o
minore complessita'; 
        4- e' evidente che, in relazione ad un procedimento per  equa
riparazione, la previsione di una "ragionevole" durata di "sei  anni"
risulti lesiva sia dell'art. 111, secondo comma Cost., che  dell'art.
117,  primo  comma,  per  violazione  degli  obblighi  internazionali
derivanti  all'Italia  dall'art.   6   della   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (v.
sentenze  Corte  Cost.  n.  348/2007  e  349/2007),  che   stabilisce
l'analogo principio del "termine ragionevole", oltre che dell'art. 3,
comma 1 Cost per uniforme trattamento di situazioni diverse; 
        5- si tenga presente che: 
a)- il procedimento di cui  alla  legge  89/2001  consta  della  mera
produzione di atti processuali; 
b)- non era e non e' previsto un doppio grado di merito; 
c)- ha la finalita' di  indennizzare  la  violazione  di  un  diritto
fondamentale leso proprio dalla "irragionevole" durata. 
    Peraltro, nell'ambito di una lettura sistematica  dell'art.  2  e
ponendo in  correlazione  il  comma  2-ter  (della  cui  legittimita'
costituzionale si dubita) con  il  comma  2  ,  si  rileva  che  tale
precedente statuizione fa riferimento alla  "complessita'  del  caso"
(inesistente in queste ipotesi  in  cui  il  procedimento  ha  natura
meramente "documentale"). 
        6. inoltre proprio il decreto-legge 83/12,  convertito  nella
legge 134, ha  fissato  un  termine  estremamente  contenuto  (trenta
giorni) per l'emissione del decreto nella fase "monitoria"  (art.  3,
c. 4, legge 89 come modificata), mantenendo  il  termine  di  quattro
mesi per la eventuale fase di opposizione (art. 5-ter, comma 5),  con
cio' palesando che di per se' la durata di  un  procedimento  di  cui
alla c.d. legge Pinto deve essere di assai breve durata; 
        7. come poi ritenuto  anche  dalla  precedente  ordinanza  di
questa Corte con  cui  e'  stata  sollevata  l'analoga  questione  di
legittimita'  costituzionale,  nemmeno  potrebbe  dirsi   irrilevante
un'insufficiente riparazione ai sensi  della  legge  89/01,  ai  fini
della  lesione  dei  diritti   costituzionalmente   garantiti   sopra
richiamati, solo perche' esiste la possibilita' di ottenere una "equa
soddisfazione" dalla CEDU, ai sensi dell'art.  41  della  Convenzione
citata, anche oltre i rimedi apprestati dall'ordinamento interno: 
da  un  lato  la  mancata  sanzione  (anche   se   solo   sul   piano
dell'ordinamento interno) del superamento della ragionevole durata di
determinati procedimenti, una volta che sia invece previsto,  in  via
generale, uno  strumento  volto  ad  indennizzare  tale  superamento,
indebolisce la tutela del diritto in  relazione  a  quegli  specifici
procedimenti; 
dall'altro la necessita' di adire la CEDU rappresenta  un  onere  ben
maggiore di quello rappresentato dal ricorso al giudice nazionale,  e
pertanto   la   differente    tutela    (conseguente    all'incongrua
equiparazione delle  "durate  ragionevoli"  di  procedimenti  diversi
nella  loro  natura)  integrerebbe   comunque   una   disparita'   di
trattamento irragionevole. 
    A riprova della necessita'  di  un  ricorso  davanti  al  Giudice
nazionale, si deve  anche  menzionare  l'art.  13  della  Convenzione
citata "Diritto a un ricorso effettivo" che  testualmente  stabilisce
che: "Ogni persona i cui diritti e le cui liberta' riconosciuti nella
presente Convenzione siano stati violati, ha  diritto  a  un  ricorso
effettivo davanti a un'istanza nazionale, anche quando la  violazione
sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle  loro
funzioni ufficiali"; 
        8. la questione si ritiene pertanto "rilevante",  posto  che,
ove si dovesse ritenere conforme a Costituzione,  e  conseguentemente
applicare,  la  normativa  vigente,  il   ricorso   dovrebbe   essere
immediatamente rigettato, stante la previsione  di  cui  all'art.  2,
comma 2-ter relativa al termine di "sei anni". 
    Ne  consegue  che,  solo  ove  fosse  accolta  la  questione   di
legittimita' costituzionale, l'invocato decreto  ingiuntivo  potrebbe
essere concesso; 
        9. la questione deve investire l'art. 2,  comma  2-ter  della
legge n. 89, nella parte in cui  si  applica  anche  ai  procedimenti
previsti dalla stessa legge n. 89, e dunque riguardare il termine  di
"sei anni" complessivo  del  procedimento;  ma  va  estesa  anche  ai
termini di cui al comma 2-bis (tre anni per il primo grado, e un anno
per il giudizio di legittimita': manca nella fattispecie  un  secondo
grado di merito), che si renderebbero  applicabili  in  mancanza  del
predetto termine  complessivo;  anche  tali  termini,  che  nel  caso
specifico sommano complessivamente  a  quattro  anni,  risulterebbero
infatti notevolmente superiori al termine  complessivo  di  due  anni
individuato dalla citata giurisprudenza come  limite  di  ragionevole
durata di un procedimento per equa riparazione.